Curiosità per conoscere e tifare Luna Rossa

Seguire la trentaseiesima edizione dell’America’s Cup, emoziona perché si vede per la terza volta, impegnata una barca italiana, esattamente Luna Rossa, che già nel 2000 arrivò alla finalissima prima di essere sopraffatta da New Zealand.

Personalmente ho ricordi nitidi di quelle settimane in cui per uno di quei tipici meccanismi mentali che rendono inconfondibili gli italiani, tutto il Paese si impegnò a capirci qualcosa di vela, di gennaker e spinnaker.

Improvvisamente furono popolari a tutti nomi e volti come Cino Ricci, Mauro Pelaschier e il napoletano Francesco De Angelis. Tutti riconoscibili dalle diverse gradazioni di abbronzatura.

Ventuno anni dopo siamo di nuovo qui, nel golfo di Hauraki che si trova davanti ad Auckland, Nuova Zelanda, a chiederci e sperare che Luna Rossa possa conquistare quello che sarebbe uno dei risultati più straordinari nella storia dello sport italiano.

Ma conosciamo la storia di questa prestigiosa competizione, per essere più vicini a Luna Rossa e poterla tifare meglio.

L’America’s Cup non si chiama così per il noto continente, come erroneamente molti pensano, tra cui anche me, ma prende il nome dall’imbarcazione partita da New York , il veliero America, che il 22 agosto 1851 sbaragliò all’Isola di Wight un’intera flotta di barche britanniche e si aggiudicò il trofeo in palio, la Coppa delle 100 Ghinee, dando ventuno minuti di distacco alla seconda classificata.

Si racconta che la Regina Vittoria in quell’occasione chiese ad un suo attendente chi fosse almeno arrivato secondo, ricevendo la risposta lapidaria…“Your Majesty, there is no second”. (…Vostra Maestà, non ci sono secondi!).

Photo: Carlo Borlenghi. Trofeo dell’America’s Cup detto “Vecchia Brocca”

Da quel giorno per 132 anni di fila gli americani detennero il trofeo, resistendo a 24 assalti consecutivi, finché nel 1983 un gruppo di australiani, riuscì nella baia di Newport, a Rhode Island, a vincere 4-3, alla settima e decisiva regata.

Il fatto che qualcuno avesse finalmente battuto gli americani ha acceso la competizione e attirato anche sponsor molto danarosi, primo tra tutti Louis Vuitton che proprio dal 1983 ha messo il cappello sulla competizione che seleziona la sfidante ufficiale dei campioni in carica, aggiungendo ulteriore fascino e prestigio alla sfida finale.

Il moro di Venezia

L‘Italia si è aggiudicata per due volte questa famosa Louis Vuitton Cup, una nel 1992 con il Moro di Venezia di Raul Gardini condotto dall’americano Paul Cayard e nel 2000 con Luna Rossa, la barca sponsorizzata Prada, che purtroppo ha avuto due sconfitte nell’America’s Cup vera e propria, rispettivamente dagli americani di America³, che si pronuncia “america-cubed” e dai neozelandesi di Black Magic.

Dopo una serie di peripezie anche piuttosto noiose che ha visto l’America’s Cup rimbalzare ai quattro angoli del globo, con i soldi di Alinghi che hanno fatto approdare il trofeo persino in un Paese senza sbocchi sul mare come la Svizzera, anche se ovviamente le regate si sono svolte a Valencia, nel 2017 i neozelandesi sono andati alle Bermuda a riprendersi la coppa dagli americani, riportandola nella terra dei kiwi.

Il regolamento, il protocollo e le regole della competizione cambiano ad ogni edizione, per volontà e decisione dei consorzi in gara.

Questa volta si gareggia al meglio delle tredici regate, dal 10 al 17 marzo, con yacht di classe AC75 (America’s Cup 75). Che cosa vuol dire? Significa che si tratta di monoscafi di 75 piedi di lunghezza circa di 23 metri che possono raggiungere anche i 90 chilometri all’ora.

La cosa più spettacolare di queste imbarcazioni, sono le due alette che spuntano ai lati della carena, sollevando lo scafo sul pelo dell’acqua e dando la clamorosa sensazione che la barca sia sospesa per aria.

Una tecnologia rivoluzionaria, mai concepita prima per un simile mezzo di trasporto, tanto che i designer si sono dovuti ispirare alle ali degli aerei. Cambia anche la struttura delle vele e naturalmente la natura stessa dell’imbarcazione, molto più leggera perché sia possibile da sostenere “nell’aria”.

Nella competizione ha il suo peso anche la collocazione dell’equipaggio, cui sono imposti rigidi criteri di nazionalità, gli unici stranieri di Luna Rossa sono il formidabile australiano James Spithill, timoniere vincitore delle Coppe 2010 e 2013 con gli americani di Oracle, e l’antiguano Shannon Falcone, marinaio che frequenta le America’s Cup già dai tempi di Mascalzone Latino (anno 2003). Il resto è composto da italiani, a cominciare dall’altro timoniere Francesco Bruni, dallo skipper Max Sirena e dal tattico Vasco Vascotto.

Dall’altra parte comanda il fenomeno Peter Burling, trent’anni appena compiuti, sette titoli Mondiali, un oro olimpico a Rio 2016 e un’America’s Cup, quella del 2017, vinta con un 7-1 totale in finale.

Si è partiti nella notte tra il 9 e il 10 marzo, alle 4 del mattino ora italiana, con regate in diretta RAI e Sky. Ogni regata dura un massimo di 45 minuti, su un numero di lati da percorrere che in genere è pari a sei, ma può essere ridotto o aumentato in base al vento. Il via è preceduto da un conto alla rovescia che raggiunge il climax negli ultimi due minuti, che diventano strategia nella strategia, con le barche che danzano di intuiti e furbizie per trarre il maggior vantaggio possibile già in partenza, alla ricerca del vento migliore.

Il campo di regata è delimitato in lunghezza da due cancelli che consistono in due boe attorno alle quali si vira, cioè si cambia direzione andando con la prua in direzione del vento oppure si stramba, ovvero offrendo al vento la poppa, cioè la parte posteriore della barca, per poi procedere nella direzione opposta. Molto importante è fare attenzione anche a non eccedere in larghezza per non incorrere in sanzioni, ma questa è un’altra storia.

Insomma, per farla breve: Buon Vento Luna Rossa, la prossima America’s Cup la vogliamo in Italia!

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